sábado, 3 de octubre de 2015

Nella Amazzonia peruviana


LA MIA ESPERIENZA NELLA AMAZZONIA PERUVIANA

 Sono sacerdote peruviano, della Congregazione Missionari Oblati di Maria Immaculata. Nato nel 1974 a Lima, capitale del Perù. Era l’anno 2004 quando ho terminato la Teologia a Cochabamba, in Bolivia. Dopo tre anni degli studi sono arrivato in Perù. Ho deciso di consacrarmi come religioso oblato con voti perpetui... “solo Dio sa se mi è dispiaciuto facerla”.
 La prima volta ho vissuto nella Missione di Aucayacu, a Huanuco - Perù. Ero un giovane entusiasta che iniziava l’avventura missionaria. Mi dicevo: “questo è come un sogno, Gesù ha mandato in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo…, se Dio vuole sarò sacerdote missionario oblato”.

 Prendere la decisione di accantonare per un tempo nella foresta peruviana, allontanarsi da familiari ed amici e di lasciare le comodità della nostra quotidianità non è estato facile, ma alla fine ho deciso di fare questo passo nel buio forse perché spinto dalla voglia di conoscere una parte del lavoro della Chiesa. Va da sé che la foresta è un posto difficile dove stare.
Purtroppo, dal 1980 al 2000, Aucayacu era una delle regioni più depresse e dimenticate dal governo. Che cosa è succeduto…? I civili si trovarono sempre più coinvolti negli scontri armati tra Sentiero Luminoso e lo stato peruviano. Se non soddisfacevano le richieste dell'esercito erano trattati come terroristi e spesso spazzati via in terribili massacri. Se non aiutavano, o semplicemente non si sottomettevano a Sentiero Luminoso, venivano accusati di essere traditori e correvano il rischio di rappresaglie dall'altro lato. Questa situazione fu particolarmente brutale fino al 1985: in soli due anni furono uccise 5567 persone, 96% delle quali civili. Fare a meno di questo era un peccato. Non fare parola era la regola. Avevo paura.

Vista la situazione politico-economica in cui si trova il posto e le persone…, “magari dovrei lasciarlo”, ho pensato. A volte alcuni di loro mi hanno detto che devo lavorare in questo posto missionario. Dopo d’aver parlato con miei fratelli oblati ho deciso di rimanerci. La missione ha una radio comunitaria. Ho lavorato lì per quattro anni. Avevo un programma radiofonico. Una prima esperienza affascinante che cambierà la mia vita. Essere un comunicatore sociale.
Dopo quattro anni, mio padre superiore mi ha scritto e mi ha dato una notizia bomba: hanno accettato i miei voti perpetui… “Roberto, eccoti i tuoi voti perpetui”. Ma la lettera anche diceva: “Devi prendere in considerazione, si apre una nuova missione nella foresta peruviana, vicino alla Colombia ed all’Ecuador…, vieni a Lima, dobbiamo di parlare”.

Santa Clotilde è la capitale del distretto del Napo, nella provincia di Maynas. È una circoscrizione territoriale facente parte della regione Loreto. Partendo da Iquitos, il capoluogo regionale, vi si arriva solo con barca a motori o con i piccoli monomotori ad elica, dai quali, nelle quasi tre giorni di viaggio, si può vedere una landa sterminata di vegetazione incontaminata. Distante solo 350 chilometri dalla frontiera equatoriana. La città – ma sarebbe opportuno chiamarla Posto di Missione, visto che è la sede parrocchiale – ha una popolazione urbana più meno attorno ai 4,500 abitanti e la popolazione rurale più meno de 7,500 abitanti. È bagnata dal fiume Napo, che nasce nella Cordigliera delle Ande Equatoriani. Queste fiume è grande e lungo. Unisce il Perù e l’Ecuador come una sola cultura. Solo nella parte peruviana si trovano 124 comunità indigene, diversificate tra loro per stirpe, usi, costumi e lingua. I gruppi etnici presenti sono Kichwas, Secoyas, Arabelas, Muruy – Muinane, Maijunas.

 Sulla parola “indigeno” ci sarebbero moltissime cose da dire: tutti infatti siamo indigeni del proprio paese, ma le persone che vivono qui affermano sempre di essere “indigene”, come per caratterizzarsi e differenziarsi dagli altri peruviani – la cosa interessante è che però non sanno dirti quali sono i prerequisiti per essere definito “indigeno”. Voi cosa ne pensate? Vi lascio con questa domanda, anche perché ora non ci sono il tempo e lo spazio per approfondire questo tema.
Ricordo le parole del Padre Mauricio, il mio superiore: “Sta’ in gamba!… Io al posto tuo prenderei una nuova avventura misionaria”. Allora, ho pensato: “Secondo me è meglio prendere una nuova missione. È necesario che la mia vita abbia una nuova esperienza”. Con tutto ciò sono arrivato a Santa Clotilde, era ottobre 2008. Dopo un po’, posso affermare che in moltissime circostanze nelle comunità si incontrano casi di denutrizione, specialmente tra i bambini, e di analfabetismo e/o di incomprensione del castigliano e di usanze tribali che, per esempio, portano uomini e donne a mangiare in tavoli separati. Il matrimonio dei figli viene ancora combinato dai genitori nelle comunità più distanti da Santa Clotilde, ma con il tempo le cose stanno cambiano ed i più giovani ora possono trovare autonomamente la persona con cui vogliono instaurare una relazione affettiva. Sono molte cose che hanno penetrato in mio cuore.

La cosa più importante che ha richiamato la mia attenzione della Cultura Napuruna è la vita quotidiana del indigena napuruna. Ha una relazione molto profonda con Dio e con la foresta, con la sua familia e con la sua comunità. “Dio cammina e visita nostra comunità, nostre case. Lui parla con noi. Da consigli”. Le persone che vivono qui sono semplici, in quanto vivono con poco.
Per concludere come si deve: dopo sette anni di lavoro, un giorno l’ho detto a Florentino Noteno, animatore cristiano indigena con chi abbiamo lavorato insieme: “ti sono grato per tutto quanto ho imparato nella tua casa, nella tua comunità. Devo andare a una nuova missione…”


ROBERTO CARRASCO, OMI
NOTA: Mi scuso, è la prima volta che scrivo un articolo in lingua italiana

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